Anabolizzanti a livello amatoriale: profili penalmente rilevanti

La chiusura forzata delle palestre, in seguito al lockdown per il coronavirus, porterà in vista dell’estate l’esigenza per molti atleti ad accelerare i tempi di allenamento per recuperare la forma fisica perduta ed essere fisicamente pronti in vista dell’estate.

Questo, potrebbe far sorgere, in molti, il bisogno di utilizzare qualche “aiutino esterno” per aumentare la massa muscolare. Pertanto, bisogna innanzitutto specificare una differenza tra integratori alimentari per sportivi e farmaci dopanti. Nel primo caso, il commercio è legale; chi viene ritrovato con un barattolo di proteine o con amminoacidi ramificati o di creatina non deve temere. Diverso è il caso del doping; il reato non è solo commesso da chi vende o chi compete in una manifestazione sportiva, ma anche da chi ne fa uso nell’ambito della propria quotidiana attività di allenamento in palestra.

Orbene, secondo i più recenti orientamenti della Suprema Corte di Cassazione, sez. II Penale, n. 3661/2019, commette il delitto di ricettazione di sostanze anabolizzanti chi riceve il provento del delitto di cui all’art. 9 comma 7 L. 376/00 (ora art. 586-bis, comma 7, c.p.) quand’anche la condotta sia posta in essere al solo fine di aumentare per motivi edonistici la propria massa muscolare, atteso che il profitto illecito è configurabile ogni qualvolta il soggetto agente consegua una qualche utilità, anche moralmente negativa o priva di significato per la generalità dei consociati, tuttavia idonea a costituire per il soggetto agente arricchimento patrimoniale anche solo indiretto.

La decisione fa ampio riferimento al precedente di cui a Cass. Pen. 15/2016, secondo cui il profitto va individuato nella ricezione di beni, sostanze dopanti, che prima non avevano e che non potevano acquistare in modo legale, beni che, avendo un valore economico, hanno incrementato il loro patrimonio, potendo trarre da essi un vantaggio e, quindi, idonei a soddisfare un proprio bisogno.

La ratio della ricettazione consiste sostanzialmente nell’intento di bloccare ab origine la circolazione di beni che siano proventi di reato. Dunque, con specifico riferimento alla nozione di “profitto”, questo può essere anche non patrimoniale, potendo consistere in qualsiasi vantaggio o utilità persino morale.

Nel caso di specie, i meri utilizzatori di agenti anabolizzanti – Gonadotropina corionica, h.CG. – gonadotropina corionica umana, Gonadotropine pituitaire e sintetiche (LH), Corticotropina (ACTH, tetracosactide), Ormone della crescita (hGH), Fattore di crescita di tipo insulina (IGF-1), Eritropoietina (EPO), Insulina – incrementano il proprio patrimonio di beni che non avrebbero potuto acquistare nel mercato legale o avrebbero potuto solo in diverse condizioni. Per effetto dell’illegale acquisto, si soddisfa quel bisogno edonistico di incrementare la massa muscolare, bisogno che di certo non avrebbero potuto conseguire ricorrendo a strade legali, in quanto le sostanze vanno utilizzate su prescrizione medica.

Se dunque un’atleta determinato a ottimizzare la propria massa muscolare acquista farmaci dopanti può essere incriminato per ricettazione: difatti il profitto – l’arricchimento patrimoniale – richiesto dalla norma, per far scattare l’illecito penale, è configurabile anche attraverso la realizzazione di un’utilità indiretta, priva di significato, come avere un fisico più muscoloso.

In questo modo, anche l’acquisto di sostanze dopanti per uso personale, finisce per integrare il dolo specifico dalla fattispecie delittuosa di cui all’art. 648 c.p. e affinché sia integrata la fattispecie, il soggetto, oltre a rappresentarsi e volere il fatto tipico, agisca con l’intento di realizzare uno scopo ulteriore, un qualcosa in più, ovvero il perseguimento da parte dell’agente di un determinato fine che, in ogni caso, non deve essere necessariamente raggiunto.

Quanto, poi, al problema del concorso tra il reato di ricettazione e le ipotesi di reato di commercio di sostanze dopanti, le Sezioni Unite hanno pronunciato il seguente principio di diritto, secondo cui, possono concorrere, in considerazione della diversità strutturale delle due fattispecie – essendo il reato previsto dalla legge speciale integrabile anche con condotte acquisitive non ricollegabili ad un delitto – e della non

omogeneità del bene giuridico protetto, poiché la ricettazione è posta a tutela di un interesse di natura patrimoniale, mentre il reato di commercio abusivo di sostanze dopanti è finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive (Sez. U, Sentenza Sez. 2, n. 12744 del 11/03/2010). Sarebbe opportuno valutare, dopo questa brevissima disamina, sulle possibili conseguenze penali di questo sempre più realistico e dilagante fenomeno, nelle varie palestre, anche a livello amatoriale, se vale realmente la pena rischiare il proprio futuro per qualche mese di apprezzabile forma fisica.

Avvocato Francesco Palumbo
Specializzato in diritto Penale

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